Dirò quello che ho capito io nella mia vita.
Ho quasi ottant’anni: cosa ho capito io di tutta questa storia? Mi piacerebbe anche cercare di rendere conto. Mi piacerebbe che qualcuno mi chiedesse di render conto della mia vita, che cosa ho fatto; e vorrei poter dire che ho occupato il mio posto, giustamente, in modo giusto, non ho usurpato, non ho profittato, ho fatto la mia parte, nel modo che sono stato capace. Allora parto con una parola, che non è una parola in realtà: quel O.R.A., acronimo dell’Agorà di settembre 2015: Resistenti Alternativi Omologati. Mi è piaciuto molto. Una riflessione da fare in un’Agorà dove tutti possono dire a che punto sono, anzi non ‘possono’, ma dovrebbero: tutti, chi ha voglia di parlare almeno, deve dire quello che ha capito lui; non quello che dovrebbero fare gli altri o che dovrebbe fare l’associazione; devo dire ciò che ho capito camminando in questa strada.
Oggi questo acronimo mi mette in discussione, mi fa pensare. Io credo che tutti abbiamo il dovere di comunicare agli altri, perché l’agorà è quello, non è una riunione dove dobbiamo decidere cosa fare, è un incontro dove diciamo dove siamo, a che punto siamo. A che cosa serve l’agorà, se non per capire a che punto sono io e a che punto è uno lontano cinquanta chilometri? Mi interessa! E credo che interessi tutti sapere il cammino, la storia, le fatiche, le gioie e tutto il positivo, il negativo e il dolore. Oggi arrivano famiglie vergini, non dappertutto, non in tutte le comunità, ma io incontro tante persone che passano perché vogliono informarsi, vogliono sapere. È gente che ha in mente l’ecologia, è una domanda che si fanno, parlano di ecovillaggio, ad esempio. Mi chiedono di spiegargli la differenza tra un ecovillaggio e una comunità delle nostre. E insomma, è chiaro per noi... però bisogna spiegarglielo.
Con Martini facevamo questi discorsi e lui mi dice: “... ma è proprio questo il senso della vostra associazione: dare l’opportunità e l’occasione, strumenti e occasioni a tutti, non selezionare; a tutti quelli che hanno voglia di fare un percorso di autopromozione e di dar senso alla vita. Questo giustifica la presenza sul territorio della vostra associazione. Se no, cos’è? Non siete case di accoglienza, non siete delle case per minori, non siete una comunità terapeutica, cosa siete?”. Questa è la domanda che dobbiamo porci dopo tanti anni.
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